Gianluca Iodice, un regista napoletano alla corte del Re di Francia
(CFN) NAPOLI – Un regista napoletano alla corte del re di Francia. Si chiama Gianluca Jodice e ha iniziato a fare cinema nei primi anni Novanta, frequentando il Centro Culturale Giovanile di via Caldieri al Vomero. Tra i suoi amici e colleghi anche Paolo Sorrentino, e altri giovani filmmaker di belle speranze. Dopo diversi cortometraggi e documentari, un film d’esordio che raccontava l’isolamento di Gabriele D’Annunzio, nella casa-prigione sulle sponde del lago di Garda. E ora il salto internazionale, con un’opera raffinata che ricostruisce la fase finale della vita del re Luigi XVI e della moglie Maria Antonietta.
Autunno 1792. La Rivoluzione ha spodestato dal trono Luigi XVI. Il re, insieme alla consorte, ai figlioletti e pochi membri della servitù, viene tenuto prigioniero nella Torre del Tempio, una residenza appena fuori Parigi. In attesa del processo che ne deciderà le sorti e, soprattutto, per proteggerlo dalla furia vendicativa del popolo che ne reclama la testa. Una situazione inedita per la famiglia reale, abituata agli agi e al lusso della corte di Versailles. E ora costretta a subire lo scherno delle guardie e gli affronti dei cittadini che si recano in visita al castello per verificare che il sovrano non sia fuggito. Il carattere mite di Luigi, l’ingenua speranza di poter tornare alla vita normale, insieme ai suoi connazionali, stride con l’altezzosità di Maria Antonietta, insofferente per le continue umiliazioni e le privazioni subite. Si avvicina l’ora del verdetto, in un’atmosfera sospesa e lugubre, mentre la neve che cade all’esterno preannuncia il gelido finale.
Al suo secondo lungometraggio di finzione, dopo Il cattivo poeta, Gianluca Jodice torna a confrontarsi con una storia biografica, concentrandosi sulla reclusione anomala di un potente caduto in disgrazia. Il Vate D’Annunzio nel film precedente, l’erede del Roi Soleil in Le Déluge – Gli ultimi giorni di Maria Antonietta. Sottotitolo della distribuzione italiana fuorviante, in quanto più che la capricciosa regina, è il marito il vero protagonista di una vicenda che cambierà la storia del mondo, decretando la fine dell’assolutismo e aprendo la strada alla democrazia. Après nous, le déluge, dopo di noi, il diluvio, frase attribuita al predecessore di Lugi XVI, il nonno Luigi XV, giustifica invece il titolo principale. E alla suggestione dell’evento meteorologico si ispira fin dall’incipit Jodice, facendo precipitare dall’alto verso il basso i nomi del cast tecnico e artistico.
La luce fredda della fotografia, curata da un maestro degli effetti contrastati come Daniele Ciprì, i sontuosi e ricercati costumi di Massimo Cantini Parrini, le scenografie essenziali ma evocative di Sara Stirpe, il trucco e parrucco di Aldo Signoretti, i volti incerati di Guillaume Canet e Mélanie Laurent sono i preziosi tasselli dell’ineccepibile confezione formale del film. Ispirato ai diari del valletto del re, autorizzato ad accompagnarlo nella detenzione, ripartito in tre capitoli e girato quasi interamente in interni, Le Déluge invita coraggiosamente a rileggere l’esito cruento della rivoluzione, alla luce dell’umanità dei protagonisti. Da un lato i Giacobini, sprezzanti ma anche attraversati in qualche caso – il procuratore che accoglie rispettosamente re e famiglia nel castello – da un sentimento di pietas. Dall’altro un monarca condannato dalla Storia, accusato di essere rimasto insensibile davanti agli stenti della gente comune. Ma il cui destino di morte non manca di commuovere, mentre risuona l’ammonimento finale di Brecht.(CFN – Giuseppe Borrone)