Parthenope, nelle sale il nuovo film del regista Premio Oscar Paolo Sorrentino

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Parthenope

Partenope di Paolo Sorrentino

(CFN) NAPOLI – Si apre con una nascita, ma è di morte che parla il nuovo film di Paolo Sorrentino. Di dolori rinchiusi nel cuore e sensi di colpa. Di destini scritti e un sapore di fine ineluttabile. Era già tutto previsto, come canta Cocciante nel brano simbolo della colonna sonora. E non basta una vita intera alla giovane protagonista, emersa dal mare come una sirena, per trovare il bandolo della sua esistenza. Ad insegnare Antropologia all’università, comprendendo davvero cosa sia l’antropologia. Qualcosa che ha a che fare con l’uomo, sicuramente. E con il suo modo di stare al mondo.

Solo apparentemente un film su Napoli, Parthenope, chiusura di un’ideale trilogia iniziata con L’uomo in più e proseguita con È stata la mano di Dio. Opera universale e autobiografica al tempo stesso, che attraverso la città e una cornice di riferimenti mitici interroga la coscienza di chi ha sofferto e cerca una via di uscita. Allacciando relazioni promiscue, incestuose, blasfeme. Con boss della camorra, cardinali e l’amato fratello Raimondo. Con la responsabile mascherata di un’agenzia di attrici e una diva protetta da una parrucca per nascondere i segni dell’età. Barcollando sul sottile confine tra sacro e profano, tra un miracolo di San Gennaro mancato e un rito sessuale di iniziazione tra affiliati a un clan. Sullo sfondo il golfo di Napoli e Capri, a gettare fumo negli occhi, a stordire di (grande) bellezza, mentre l’anima brucia e si consuma nella impossibilità di controllare il destino.

Continuamente alla ricerca spasmodica di figure autorevoli a cui aggrapparsi, nella difficile arrampicata alla vita, Parthenope si accosta prima a uno scrittore americano in vacanza e poi al professor Marotta, docente universitario che instaura con lei un gioco di reciproca seduzione intellettuale e complicità. Il tempo scorre, accelerato da un montaggio fluido e da didascalie forse superflue, talmente è accurato il lavoro di scenografia e costumi nel definire il contesto storico. La stessa fotografia granulosa e insieme estetizzante di Daria D’Antonio sottolinea la polarizzazione di un universo narrativo fluttuante tra alto e basso, Marechiaro e i vicoli del centro storico, bene e male.

Una partenza, nel precedente film, un ritorno in questo, a suggellare l’arco della storia. In un rapporto di amore e odio esaltato da dialoghi sopra le righe e battute apodittiche, provocazioni e immagini folgoranti. Labile e sfuggente come l’acqua, elemento unificante del film – insieme al sale, di cui è composto lo struggente figlio segreto del professore – la vita scorre e scivola via. Tra qualche applauso, dei colleghi che festeggiano la pensione, molti rimpianti e la consolazione di uno scudetto appena vinto.(CFN – Giuseppe Borrone)

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