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Bradisismo, il fenomeno visto da Tiziana Vanorio, ricercatrice puteolana a Stanford

Bradisismo, il fenomeno visto da Tiziana Vanorio, ricercatrice puteolana a Stanford

(CFN) POZZUOLI – Sul tema sono in tanti ad esprimersi, a titolo più o meno lecito, ma ci è sembrato molto interessante un articolo de “Il Segni dei Tempi”, periodico della Diocesi di Pozzuoli diretto da Salvatore Manna, dove viene intervistata Tiziana Vanorio, puteolana, docente alla Stanford University in California. Fuori dalla mischia, la ricercatrice propone una lettura diversa del fenomeno bradisismico spiegandone un po’ la genesi, l’evoluzione passata e futura.
A seguire riportiamo l’articolo integrale ringraziando la Testata “Il Segni dei Tempi” ed il suo direttore, nonchè firmatario dell’articolo, Salvatore Manna.


Tiziana Vanorio

«Come si evince dal nome – spiega Tiziana vanorio – i Campi Flegrei sono un campo vulcanico. Questo vuol dire che l’area vulcanica non è costituita da un unico apparato vulcanico centrale, come il Vesuvio o l’Etna, ma da una vasta zona pianeggiante composta da numerosi crateri di modeste dimensioni. Questi piccoli vulcani, di solito di cenere, sono detti monogenici perché ciascuno di essi si è formato nell’arco di un’unica eruzione vulcanica. Un esempio è il Monte Nuovo. Detto ciò, sebbene l’area flegrea sia estesa, le manifestazioni interessano principalmente solo una porzione di essa. Per manifestazioni dell’attività vulcanica intendiamo (1) le deformazioni del suolo (sollevamento ed abbassamento), (2) la sismicità, (3) le emissioni fumaroliche e (4) la temperatura di queste emissioni. Se ci basiamo sulle osservazioni che abbiamo, il massimo sollevamento del suolo come pure la sismicità riguardano principalmente Pozzuoli. La sismicità e le manifestazioni fumaroliche sono presenti anche nel golfo. È stato così anche in passato».

Il monitoraggio del vulcano più sorvegliato al mondo fornisce dunque elementi chiari, eppure c’è una grande confusione.

«Beh, è il segno dei tempi — no pun intended, come si dice da questa parte dell’oceano! – Il modello di business di molti media (non tutti, fortunatamente) non è fare informazione ma vendere. I social media e i suoi utilizzatori poi fanno il resto».

Cosa è cambiato negli ultimi anni, ci sono significative differenze con la crisi dell’82/83?

«È cambiato il monitoraggio, la sua informazione, la trasmissione e la visualizzazione dei dati. Da diversi anni l’Osservatorio Vesuviano fornisce regolarmente dei bollettini di informazioni sul fenomeno. Lo considero un grosso passo in avanti perché costituiscono un’informazione preziosa per i cittadini. Internet poi è stato uno dei fenomeni più significativi dell’informatica. La connettività alla rete 24/24h ci dà la possibilità di visualizzare le tracce sismiche e le localizzazioni di eventi come se fossimo in una sala sismica. Trovo fantastico il fatto che io possa monitorare, in tempo reale, ciò che avviene a 10.000 km di distanza da me. È assolutamente un esempio da seguire. Poco, invece, è cambiato dal punto di vista del fenomeno, almeno esaminando le osservazioni a disposizione. Detto questo è un fenomeno che va sempre monitorato».

E tutto porta a Pozzuoli…

«Il sollevamento e la sismicità riguardano principalmente la città e le profondità dei terremoti sono, in particolare, concentrate tra 1 e 3 km. Quando ero all’università di Nizza, abbiamo effettuato una tomografia — una TAC ai Campi Flegrei — che ha individuato una roccia serbatoio confinata e riempita di gas (vapore e CO 2 ) tra 2 e 3 km di profondità. Questa zona è anche la sede di origine di gran parte dei terremoti. Se guardo alla distribuzione degli ipocentri dei terremoti registrati durante la crisi odierna, non vedo grosse differenze. Inoltre, storicamente la sismicità diventa più sostenuta quando il sollevamento raggiunge gli 80-100 cm. È stato così anche durante la crisi dell’82 e del 70. È una caratteristica peculiare del comportamento meccanico di certi strati rocciosi della caldera flegrea, che sono in grado di deformarsi molto, prima di fratturarsi. E questa caratteristica è molto interessante».

Perché?

«La fisica e la meccanica dei mezzi porosi è la disciplina del mio gruppo di ricerca finalizzata, tra le altre cose, alla creazione di nuovi geomateriali, cioè materiali opportunamente ingegnerizzati a partire da materiali naturali. In genere le rocce, per quanto molto resistenti agli sforzi, hanno un comportamento meccanico fragile: per intenderci, presentano più le caratteristiche del vetro che del legno. Invece, con le dovute differenze, il famoso “strato di roccia simile al cemento” che copre la roccia serbatoio si comporta più come il legno perché, come esso, è fibroso. Venticinque o trent’anni fa non avremmo potuto vedere questi minerali fibrosi al microscopio poiché le immagini che fornivano i microscopi di allora erano a più bassa risoluzione. Tuttavia, la presenza di fibre è essenziale per il rinforzo meccanico di qualsiasi materiale: le fibre riducono la propagazione delle fessurazioni grazie ad un’efficace “azione di cucitura”. In altre parole, le fibre fanno da ponte tra i due lati di una piccolissima fessura, evitando il più possibile che essa si propaghi o si allarghi diventando una frattura più grande. Questo fa sì che un materiale o una roccia che contiene fibre non si fratturi in maniera brusca (comportamento fragile) ma più lentamente accumulando deformazione. È un meccanismo conosciuto molto bene nell’ingegneria dei materiali, molto meno in geofisica».

In meno di 20 anni sono in aumento la velocità di sollevamento e gli sciami: come mai?

«A partire dal 2011 c’è stato un aumento della velocità di sollevamento, che non è costante nel tempo. A volte il sollevamento è più lento; altre volte più veloce. Il sollevamento è causato da una forza verso l’alto. Come ogni materiale, le rocce si deformano sotto questo sforzo e ad un certo punto arrivano al punto di rottura. La rottura è la sismicità che si avverte. Quali sono le cause? A questo proposito c’è stata un’evoluzione di vedute nel tempo. E questo è normale, e non riguarda solo la caldera dei Campi Flegrei o le Scienze della Terra. È un problema inerente alla natura di tutti fenomeni che non possiamo osservare direttamente. Partiamo col dire che attualmente non c’è evidenza di risalita di magma da zone molto profonde verso la superfice. Per quanto riguarda la causa del sollevamento, c’è chi ha formulato la presenza di una camera magmatica superficiale immediatamente vicino alla zona degli ipocentri e chi, invece, ha formulato la presenza di un serbatoio geotermico, cioè una roccia satura di gas, sia vapore che CO 2. Tuttavia, come detto in precedenza, le immagini della tomografia fatta con i dati della crisi del 82-84 non evidenziano parametri compatibili con una camera magmatica a 2-3 km di profondità. Questo è stato possibile grazie all’evoluzione tecnologica che ci ha permesso di fare grandi passi in avanti – esattamente gli stessi che ha fatto la medicina. Se abbiamo un dolore persistente, oggi possiamo fare degli esami radiologici sempre più mirati, capaci di visualizzare e studiare i vari distretti del corpo».

La tecnologia della medicina applicata alla Terra?

«Invece di utilizzare i raggi X, si usano i raggi delle onde sismiche, cioè le stesse onde generate dai terremoti. Inoltre, se necessario, si prelevano ed analizzano in laboratorio dei campioni di roccia (o, nel caso della medicina, di tessuto), come, infatti, abbiamo analizzato i campioni prelevati dalle perforazioni Agip degli anni 80.  Cinquanta o sessanta anni fa certe analisi non erano possibili, né in Medicina né in Geofisica. Ecco che le vedute scientifiche evolvono».

A questo punto chiariamo il comportamento del gas e/o dell’acqua.

«Come detto in precedenza, le rocce si deformano, e quando arrivano al punto di rottura, generano sismicità. Visto che la sismicità è concentrata laddove la tomografia ha individuato la presenza di rocce sature di gas, verosimilmente la spinta è provocata da fluidi gassosi. Pensiamo per un attimo solo all’acqua, che si espande volumetricamente di circa 1600 volte quando passa dalla fase liquida a quella di vapore. Bisogna pensare alle rocce serbatoio come a delle spugne molto resistenti, sono porose e capaci di riempirsi di fluidi che possono essere sia di natura vulcanica che meteorica. Se questi fluidi sono “confinati” a causa di un qualcosa che impedisce loro di fluire liberamente (si immagini, ad esempio, il coperchio a chiusura ermetica di una pentola a pressione), essi esercitano una pressione, facendo sì che i pori di una roccia si comportino, per dirla semplicemente, come se fossero tanti palloncini gonfiabili, deformando la roccia. Nella Fisica e Meccanica delle Rocce, questa pressione si chiama “pressione di fluido di poro” e l’aumento di questa pressione abbassa la resistenza meccanica della roccia, portandola alla rottura. Quindi si capisce bene che meno il serbatoio geotermico si riempie di fluidi, di qualunque tipo essi siano, meglio è».

Si pensa di sfruttare questa energia sotterranea, ma con le perforazioni geotermiche si corrono rischi?

«Chiariamo subito che la perforazione in sé, non è un problema e non induce sismicità. Certamente, l’atto di perforare una superficie provoca una vibrazione, vibrazione che può essere rilevata da un sismografo. Tuttavia, non è questo il problema legato alla “sismicità indotta”. I problemi nascono per altri motivi, indissolubilmente legati alle perforazioni. Primo, le trivellazioni hanno bisogno di acqua che viene iniettata nel pozzo per raffreddare e lubrificare le attrezzature di perforazione. Secondo, le rocce vulcaniche possono essere porose ma hanno una bassa permeabilità — cioè i fluidi non si muovono facilmente al loro interno. Pensiamo per un attimo alle pomici, che sono un caso estremo, ma rendono l’idea. Le pomici galleggiano perché leggere, in quanto hanno una porosità del 80% circa. Tuttavia, le pomici non vanno a fondo come invece può andare una bottiglia in quanto l’acqua non le potrà mai riempire completamente poiché i suoi pori non sono intercomunicanti. Ciò rende la pomice non permeabile. Ora, per sfruttare economicamente un serbatoio geotermico c’è bisogno che sia poroso, affinché possa contenere un fluido, ma soprattutto c’è bisogno che sia molto permeabile per estrarre il fluido velocemente ed a basso dispendio energetico — altrimenti, come si dice dalla vostra parte dell’oceano, la spesa non vale l’impresa! Per verificare se la permeabilità del serbatoio è economicamente vantaggiosa, si fanno delle prove che consistono nell’iniettare in un pozzo dell’acqua a pressione (detto pozzo di iniezione) per poi misurare il tempo che il fluido impiega ad arrivare ad un secondo pozzo (pozzo di misura). Grossi volumi di acqua sono iniettati nel sottosuolo, durante queste operazioni. Terzo, se viene fatto un pozzo e non lo si impermeabilizza a dovere questo, può ulteriormente facilitare l’ingresso dell’acqua meteorica che con il tempo può percolare in profondità».

A proposito dell’acqua, è vero che i Romani avevano capito tutto, realizzando costruzioni che non a caso resistono ai secoli?

«Gli antichi Romani hanno scoperto la formula del loro cemento per puro caso. Erano degli acuti osservatori. Seneca ha scritto “dall’osservazione, all’intuizione” e, a proposito dei Campi Flegrei, riporta che la “polvere di Puteoli (la cenere pozzolanica), diventa roccia quando tocca l’acqua”. Ovviamente non potevano conoscere il perché, il percome, o il dettaglio di ciò che succede quando un materiale vulcanico, non solo la pozzolana, viene in contatto con l’acqua».(CFN)

Tiziana Vanorio – professoressa di geofisica nel dipartimento di Earth and Planetary Sciences, Stanford University, dove dirige il laboratorio di Fisica delle Rocce e Geomateriali. Dal 2019-2022 Tiziana è stata Preside di Facoltà Associato, e nel corso della sua carriera ha ricevuto numerosi premi come l’Innovative Teaching Award (2014) dalla Society of Petroleum Engineering, il Career Award (2015) dalla National Science Foundation, e il Wegener Award (2018) dalla European Association of Geoscientists and Engineers.